I miei ricordi su Lovanio Rossi. Che non ho mai conosciuto
di Simona Pacini
Sono cresciuta in una casa dove aleggiava lo spirito di Lovanio Rossi, ma sono l’unica della mia famiglia a non averlo mai conosciuto.
Babbo, iniziata l’avventura del Bollettino degli Amici dell’Arte, ci aveva a che fare di continuo. Come con Mario Cappelli, Boreno Cigni e tanti altri.
Boreno lo conoscevo bene, quante volte sono stata a chiacchiera nella sua bottega, quante telefonate per carpire ricordi di un testimone colligiano dei tempi che furono. Mario Cappelli veniva a cena a casa nostra o andavamo noi da loro, sempre un po’ preoccupati per la cucina eccezionale ma anche un po’ esagerata di Gioli.
Con Lovanio non credo di averci mai parlato. No, anzi. Ne sono sicura. Mi metteva una tale soggezione che se fosse successo anche solo una volta lo ricorderei. Quando babbo parlava di Lovanio, pur con il tono che usava per tutto, scanzonato e leggero, si poteva avvertire il peso reale della sua cultura. La sua serietà, la passione per i libri, la conoscenza del latino. Tutto contribuiva a creare ai miei occhi una figura mitica di studioso contro il quale, se lo avessi incontrato, temevo si sarebbero schiantate le mie conoscenze abborracciate, frutto a quel tempo di studi disorganici e motivati più dalla necessità del voto che da una reale passione.
Empatico e intelligente, ascoltava tutti
Mamma invece parlava spesso di Liliana, la moglie. Dai racconti che ne faceva, emergeva non solo la figura di una donna allegra e piena di vitalità, oltre che molto bella, ma anche la domanda: come avranno fatto quei due a trovarsi e stare insieme, tanto i loro caratteri apparivano distanti l’uno dall’altro.
Certi aneddoti a mamma glieli aveva raccontati Mario Manganelli che con Liliana ci aveva fatto scuola insieme, nel senso che avevano insegnato nello stesso posto, ed erano veramente irresistibili.
Il marito, al contrario, viveva avvolto in una cappa di assoluto rigore, dietro alle spesse lenti nella montatura nera, il cappotto abbottonato fino al collo e il passo lento di chi medita.
Poi, quando Paola, la mia sorella, è andata alle Magistrali, che al tempo erano ancora al Conservatorio San Pietro in Borgo, se lo è ritrovato come preside.
E allora, come si usa a casa nostra, dove siamo un po’ tutti imitatori, quando c’era da raccontare qualcosa di Lovanio, cercava di esprimersi con lo stesso tono di voce, una parlata che procedeva come al rallentatore, pacata e suggellata da un tocco lievemente nasale.
L'anedotto dell'attaccapanni con i piedi
Un giorno Paola, rientrando in classe dopo essere stata in bagno, lo incontra nel corridoio dove sembra stia parlando da solo. In realtà c’era un ragazzo nascosto dietro alla fila dei cappotti appesi alla parete.
«Io non ho mai visto un attaccapanni coi piedi - diceva Lovanio - ovvia, vieni fuori, su. In fondo che avrà fatto di male questo Gesù Cristo, a quel che ne so non ha fatto niente di male. Almeno…»
Si seppe poi che quel ragazzo era uscito dall’aula per non seguire l'ora di religione, all’epoca obbligatoria.
Negli stessi anni in cui Paola era alle Magistrali, mamma fu chiamata da Lovanio Rossi per fare la scrutatrice alle elezioni dei consigli di classe. Mamma si stupì che Lovanio chiedesse proprio di lei, poi scoprì che il suo nome era stato fatto da Alberto Brandani, al tempo insegnante di Lettere in quella scuola. Il direttore di mamma, Robusto Solari, non voleva rinunciare alla maestra Loriana per il tempo in cui rimaneva aperto il seggio. Insisteva che avrebbe potuto farlo chiunque altro, senza andare a turbare l’orario e le presenze alle scuole elementari. Lovanio fu irremovibile. E alla fine Robusto cedette.
«In quell’occasione - ricorda mamma - ebbi modo di osservarlo da vicino e abbastanza a lungo. Notai che i suoi studenti lo cercavano di continuo. Venivano a parlare con lui, a chiedere consigli sullo studio o a fare qualche rimostranza contro l’uno o l’altro professore. Lovanio ascoltava tutti. Ai miei occhi appariva come un padre benevolo, ma anche giusto. Mai accondiscendente. Cercava di capire e ascoltare tutti. Era straordinario, la sua empatia era tangibile».
«Una volta - racconta ancora mamma - tenne una conferenza alla Casa dell’Amicizia su Vittorio Alfieri, l’autore che più lo appassionava. Ricordo ancora la sua espressione, mentre era alla lavagna e ci guardava, spiegandoci quello che aveva scoperto. Aveva negli occhi una contentezza assoluta, paragonabile solo a quella di un bambino davanti al regalo che aveva sognato. Da quel particolare capii che Lovanio era una persona piena di vita, che viveva al massimo per quelli che erano i suoi interessi. E che aveva un’umanità straordinaria».