Capire la violenza contro le donne: perché i numeri non bastano
di Yuleisy Cruz Lezcano
Ogni anno in Europa vengono raccolti dati che misurano i progressi compiuti in tema di parità di genere. Uno degli strumenti principali utilizzati è l’Indice sull’uguaglianza di genere, introdotto nel 2013 dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE), che valuta sei ambiti principali – lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere, salute – e monitora, separatamente, anche la violenza di genere e le disuguaglianze intersezionali. L’indice si basa su un principio semplice: più alto è il punteggio, più vicina è la società a una piena uguaglianza tra uomini e donne. Tuttavia, quando si tratta di analizzare i dati relativi alla violenza, il ragionamento si inverte: un punteggio più elevato segnala una maggiore gravità del fenomeno. Ma cosa significa davvero tutto questo? E soprattutto: come leggere questi numeri senza perdere di vista la complessità sociale che si cela dietro?
I dati del 2020 offrono un esempio significativo: il Regno Unito, uno dei paesi con i punteggi più alti in tema di parità di genere, presenta anche una alta prevalenza di violenza contro le donne. Al contrario, la Grecia, che figura tra i paesi con i punteggi più bassi in termini di uguaglianza, registra livelli più contenuti di violenza. Una contraddizione solo apparente. Questi dati, infatti, non possono essere letti isolatamente: senza una comprensione approfondita del contesto sociale, culturale e politico di riferimento, si rischia di cadere in interpretazioni superficiali o fuorvianti.
Sorge spontanea una domanda: è possibile che la maggiore emancipazione delle donne inneschi reazioni violente negli uomini, colpiti da un senso di insicurezza o dalla percezione di perdere potere? In una società che si evolve, anche i ruoli di genere si trasformano, mettendo in crisi gli schemi patriarcali tradizionali. È qui che la violenza può diventare un mezzo di controllo, una risposta disperata a un equilibrio di potere che cambia. Oppure, si potrebbe ipotizzare il contrario: nei contesti dove la disuguaglianza di genere è ancora molto forte, le donne denunciano meno. La violenza è altrettanto (se non più) diffusa, ma più sommersa, più accettata culturalmente o meno riconosciuta come tale. In entrambi i casi, è evidente che i numeri, da soli, non bastano.
Un altro elemento fondamentale per leggere il fenomeno riguarda il lavoro dei centri per autori di violenza, come il CAM (Centro Ascolto Uomini Maltrattanti), nato a Firenze nel 2009. In quell’anno, furono appena 9 gli uomini presi in carico. Oggi, solo la sede fiorentina ne segue oltre 180, con una media storica di 1400 casi. Si tratta in gran parte di uomini tra i 25 e i 55 anni, occupati, spesso inviati dai servizi sociali o arrivati in modo spontaneo.
Secondo i dati dell’associazione LeNove, nel biennio 2014-2015 in Italia erano attivi 33 centri o sportelli per il recupero degli autori di violenza. Nel 2014 gli uomini presi in carico furono 406 (di cui circa 100 non completarono il percorso), mentre nel 2015 il numero salì a 538, con un aumento anche del cosiddetto drop out. Tra il 2015 e il 2017, la rete nazionale Relive ha gestito 872 uomini in 17 centri, con un tasso di abbandono iniziale del solo 5%. Questi dati sono fondamentali perché evidenziano come stia crescendo una presa in carico attiva degli uomini violenti, un aspetto ancora troppo poco considerato nel dibattito pubblico, ma essenziale per contrastare il fenomeno in maniera strutturale.
Il problema è complesso e così deve essere anche la sua analisi. La violenza di genere non si misura solo con i numeri delle denunce o con gli accessi ai centri, ma si alimenta (o si riduce) in base a dinamiche culturali, alla presenza o assenza di servizi, alla capacità della società di riconoscere e contrastare il fenomeno. Per questo è fondamentale conoscere la realtà sociale in cui i dati vengono prodotti: chi denuncia, chi ha accesso ai servizi, chi si sente legittimato a parlare, chi è ascoltato. Solo così possiamo evitare di leggere la parità di genere come una somma di punteggi e restituire alla violenza il suo volto concreto, quotidiano e drammaticamente reale.