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Freezing e stealthing: le reazioni nascoste alla violenza sessuale e la Rape Culture

Freezing e stealthing: le reazioni nascoste alla violenza sessuale e la Rape Culture

di Yuli Cruz Lezcano

La nozione di freezing o paralisi, conosciuta anche come tonic immobility (TI),  è parte integrante della risposta biologica e psichica del corpo umano di fronte a minacce estreme, inclusi gli abusi sessuali. Non si tratta di una scelta, né di una mancanza morale; è una reazione involontaria, profondamente radicata nei meccanismi di difesa contro il pericolo quando né la fuga né la lotta sono percepite come possibili. Studi recenti mostrano che molte vittime di aggressione sessuale non possono reagire fisicamente, urlare o respingere: in alcuni casi restano immobili pur rimanendo coscienti durante l’assalto. Questo frozen state porta con sé effetti duraturi, non solo fisici ma psicologici, compresi ricordi intrusivi, senso di colpa, vergogna, vertigine morale al pensiero “avrei potuto / dovuto reagire”, che spesso porta al silenzio e all’autocritica.

Una ricerca pubblicata su PubMed che ha indagato una popolazione di persone vittime di aggressioni sessuali e fisiche ha riscontrato che la gravità della tonic immobility durante il trauma correla fortemente (coefficiente 0,40-0,65) con fenomeni post-assalto come disturbi d’ansia, depressione e con la centratura dell’evento traumatico nella memoria autobiografica, così come con l’autocolpevolizzazione. Un altro lavoro ha esaminato la struttura fattoriale della scala che misura la tonic immobility, distinguendo una dimensione fisica (padronanza del corpo, immobilità muscolare) da una dimensione emotiva o esperienziale (paura intensa, paralisi soggettiva), nei sopravvissuti a violenze sessuali. 

Se il freezing è spesso ignorato o ritenuto “meno credibile” nelle narrazioni sullo stupro, la ricerca dimostra che chi sperimenta questa paralisi è meno propenso a denunciare l’abuso. Secondo il National Crime Victimization Survey statunitense, le vittime che congelano durante l’assalto hanno meno probabilità di rivolgersi alle forze dell’ordine, proprio perché non hanno reagito “fisicamente”. 

Questo fenomeno si inserisce pienamente nella rape culture, che tende a sostenere miti e aspettative su come una vittima “dovrebbe reagire” per essere creduta: urlare, difendersi fisicamente, resistere. Quando ciò non accade – perché il corpo ha risposto con il freezing – scatta la colpevolizzazione della vittima, la minimizzazione dell’offesa, il dubbio che “non fosse vero stupro”.

In uno studio recente dell’Università di Twente, è emerso che le persone valutano la gravità dell’aggressione, la colpevolezza del perpetratore e la responsabilità della vittima diversamente a seconda che la vittima abbia resistito o sia rimasta immobile; il fatto che la vittima abbia congelato porta a una maggiore colpevolizzazione, soprattutto se chi giudica possiede forti credenze nei miti sullo stupro. 

Parallelamente, il fenomeno dello stealthing, cioè la rimozione non consensuale del preservativo durante un rapporto sessuale – è diventato oggetto di un numero crescente di studi. La letteratura internazionale mostra che una percentuale significativa di persone, soprattutto donne, ha subito stealthing almeno una volta. In un’analisi su molti studi (una scoping review) le stime di vittimizzazione per le donne variano tra il 7,9% e il 43%, mentre la perpetration da parte di uomini è tra circa il 5,1% e il 9,8%. Nel Regno Unito, uno studio qualitativo ha messo in luce come nelle relazioni eterosessuali i significati attribuiti all’uso del preservativo, alla fiducia, al controllo e al consenso possano diventare terreno fertile per pratiche come lo stealthing, che vengono spesso minimizzate o non riconosciute per quello che sono: una violazione del consenso e una forma di violenza sessuale.  Lo stealthing ha conseguenze non solo a livello sanitario, come l’aumento del rischio di infezioni sessualmente trasmissibili, gravidanze indesiderate, ma anche psicologiche: le vittime riportano vergogna, senso di tradimento, sfiducia nelle relazioni future, difficoltà nel riconoscere che ciò che è accaduto sia stato un abuso. 

Il legame tra freezing, stealthing e rape culture è forte perché tutti e tre mettono in chiaro che non esiste un modello “normale” o “atteso” di reazione alla violenza; e che la cultura patriarcale tende a giudicare e validare solo alcune manifestazioni di resistenza, ignorando quelle silenziose, interiorizzate, involontarie. Il primo passo per infrangere questi meccanismi è mettersi in discussione, educarsi a riconoscere che la sofferenza non ha necessariamente manifestazioni visibili, che il consenso è un principio imprescindibile anche se non risulta espresso con determinazione fisica, e che la responsabilità non sta nella vittima ma nel rispetto dei limiti altrui.

Promuovere consapevolezza significa anche intervenire su scala sistemica: formare professionisti della salute mentale, operatori sanitari, forze dell’ordine, legali affinché comprendano il freezing come risposta biologica e non come “collaborazione” o mancanza di verità; includere stealthing nel dibattito giuridico come forma riconosciuta di violenza sessuale; diffondere una cultura della sessualità dove consenso, libertà e agency siano centrali, non accessori; nelle scuole, nei media, nelle normative. Solo accettando che le risposte alle violenze siano molteplici, spesso non evidenti, silenziose ma non per questo meno reali, possiamo cambiare le fondamenta culturali su cui poggiano rape culture e patriarcato. Fare un passo indietro, mettersi in discussione, è il primo passo per una società che riconosca davvero la violenza in tutte le sue forme, visibili e invisibili.

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