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America in fiamme: l’assassinio di Kirk accende la miccia della guerra civile?

America in fiamme: l’assassinio di Kirk accende la miccia della guerra civile?

di Diego Monaci

 

 

 

Il 10 settembre scorso Charlie Kirk, attivista conservatore molto famoso sui social e sostenitore di Trump, è stato assassinato durante un dibattito pubblico all’Università di Orem, in Utah. Il suo aggressore avrebbe lasciato una nota prima dell’omicidio con scritto “Ho l’opportunità di uccidere uno delle principali voci conservatrici del paese e la prenderò”, per cui il movente è politico.

Purtroppo Kirk non è stato l’unico caso. Nello scorso giugno è stata uccisa la speaker della Camera del Minnesota Melissa Hortman insieme al marito; in aprile è stato appiccato un incendio alla casa del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro mentre lui e la famiglia dormivano (fortunatamente nessuna vittima); i due tentativi di assassinare Donald Trump quando ancora non era stato eletto presidente, nel luglio e in settembre in Pennsylvania e Florida. Oltre a questi, molti funzionari locali e statali sono stati minacciati esplicitamente. La polarizzazione e l’odio reciproco tra i sostenitori delle due fazioni politiche sono cresciuti enormemente negli ultimi anni, i repubblicani vanno sempre più a destra ed i democratici più a sinistra, al centro rimangono ben pochi. Oltre il 70% dei repubblicani ed il 65% dei democratici dichiarano che l’altro partito è una minaccia al benessere nazionale, mentre circa il 40% di ogni gruppo dice che i membri del partito opposto sono pericolosi o immorali. Circa il 50% dei sostenitori di entrambi gli schieramenti dicono di avere pochi o nessun amico stretto che voti per il partito opposto (2022). Anche la perdita di fiducia nelle istituzioni è un fattore, infatti nel 2024 soltanto 1 americano su 5 dichiara di fidarsi del Congresso.

La situazione è molto complessa e l’ascesa di Trump non ne è la causa, ma una delle conseguenze. La crisi identitaria degli americani inizia dagli anni 80-90, quando molte aziende che davano lavoro a famiglie e, spesso, anche a intere cittadine, decidono di spostare la produzione in altri paesi dove il costo del lavoro era mediamente basso (soprattutto nel sud est asiatico). È il fenomeno della delocalizzazione, che ha causato la fuga della popolazione di intere città verso altre zone; infatti un’ampia parte della regione del midwest, dove un tempo si concentravano le grandi fabbriche, è soprannominata la “rust belt” (cintura di ruggine) per via dei grandi capannoni abbandonati.

Chiudono le fabbriche e i prodotti americani subiscono la concorrenza di quelli esterni, soprattutto europei ed asiatici, dato che, per portare avanti la globalizzazione, i governi americani applicano politiche liberoscambiste, senza quindi applicare dazi sui prodotti importati e tollerando quelli che gli altri paesi applicano sui prodotti americani (facendo le fortune delle economie europee ed asiatiche, in particolare quelle tedesca e cinese). Insieme all’ingresso di migranti, che accettano paghe e condizioni lavorative minori rispetto agli americani autoctoni, aumenta la disoccupazione e la classe media si impoverisce progressivamente, per cui l’ideologia del “sogno americano” e dell’“american way of life” diventa sempre più debole, soprattutto dopo i fallimenti delle campagne militari in Iraq e Afghanistan. Disoccupazione, concorrenza europea/asiatica ed immigrazione sono alcuni dei fattori che portano alla rabbia di un’ampia fetta di popolazione incarnata in Trump.

La reazione all’ascesa di Trump non è mancata da parte dell’elettorato democratico. Per anni, l'ideologia del progresso a tutti i costi ha dominato tra i ricchi del Nord-Est, della California e tra i laureati delle città, i principali sostenitori dei democratici. Vivendo in una bolla, non si sono accorti delle criticità del sistema finché non si sono trovati di fronte alla sfida di Trump.

 Non capendo le origini, hanno bollato l’altro come “razzista”, “ignorante”, arroccandosi nei valori morali del progresso e dell’”antifascismo” (il “fascismo” non ha mai avuto breccia negli Stati Uniti). Ad ogni azione corrisponde una reazione, così l’arroganza dell’uno ha amplificato quella dell’altro. Aumenta l’odio reciproco tra le due fazioni, ognuna con un proprio modo di vedere l’America ed i suoi valori e vedendo l’altro come una minaccia agli stessi valori che incarnano gli Stati Uniti.

Al momento la guerra civile è soltanto a bassa intensità. Difficilmente potrà sfociare in guerra aperta, perché negli alti vertici, al di là di Trump, non c’è volontà di spaccare definitivamente il paese, mentre la popolazione, al di là della crisi, dell’odio reciproco e delle tante armi in circolazione, è troppo agiata e mediamente anziana, quindi non abbastanza propensa alla violenza. Nonostante ciò, questa crisi può paralizzare seriamente il paese soprattutto a fronte di importanti sfide geopolitiche come la rinascita della Cina e l’intraprendenza della Russia.

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