di Yuleisy Cruz Lezcano
La poesia intitolata “Una toppa senza rumore” nasce da un profondo senso di dolore e urgenza: non solo per onorare la memoria di un padre, un lavoratore, un uomo, ma anche per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema troppo spesso relegato al silenzio, quello delle morti sul lavoro.Credo fermamente che la cultura, anche attraverso la parola poetica, possa contribuire a scuotere le coscienze, a dare volto e voce a chi non ha più la possibilità di raccontarsi.
Una toppa senza rumore
Nel giorno cucito d’attese,
tra l’odore salmastro dei costumi stesi,
ancora nei pensieri,
una valigia dorme nel corridoio,
dentro, la voce del padre piegata
fra le magliette del mare.
Due piccoli cuori,
ancora impastati di merenda e cartoni,
attendevano il miracolo serale:
il rumore delle chiavi nella toppa,
quel suono antico che riporta il mondo
sotto i tetti dell’amore.
Ieri però il niente
dietro una telefonata,
poi il rumore,
una campana stonata e la sirena,
ha annunciato senza addio
la mancanza.
Del corpo reliquia
del ritorno un sacrario mancato.
Le stanze odorano di lutto,
la fragranza di crisantemi
accarezza il tempo che si ferma
in preghiera
sulle ciabatte lasciate all'ingresso.
Le ombre dei figli,
nel cortile dell’attesa,
tracciano col gesso
il contorno del padre
come un angelo che non sa volare.
E la madre, con le mani
che ancora sanno di sabbia promessa
pulisce la tavola e respira il posto
dove galleggia il vuoto.
I giorni saranno vacanza
solo per chi ignora
che anche il sole piange,
quando un biglietto resta nel cassetto
come una bottiglia senza mare.
Il muletto, demone cieco di metallo,
ha parlato al posto del destino,
e adesso la fabbrica custodisce
parole non uscite dal corpo.
Nella staticità della morte
qualcosa si muove,
arriva nei sogni dei bambini
che abbracciano ancora
il padre che non è tornato.
Commento dell'autrice
Ho scritto questa poesia per dare voce a chi muore nel silenzio dell’indifferenza,per colmare con le parole il vuoto che lascia un padre quando non torna a casa, non perché ha scelto, ma perché è stato ucciso da ciò che avrebbe dovuto nutrirlo: il lavoro. Antonio Arcuri, operaio e padre,
è stato inghiottito da una macchina cieca, in un pomeriggio qualunque che per lui doveva essere l’ultimo prima della libertà promessa delle vacanze, prima del mare, prima dei giochi con i figli.
“Una toppa senza rumore” è l’immagine del suo rientro mancato, di quella serratura che nessuna chiave aprirà più, dell’attesa cucita nel cuore dei bambini che non hanno più il respiro del padre a dar senso alla sera. Scrivo per i figli, per il dolore che non sa parlare. Scrivo perché l’assenza, quando è fatta di carne e tuta da lavoro, non sia solo statistica, ma memoria collettiva.