Gli italiani espertoni di tutto. Lo abbiamo scoperto quando, in maniera innocua, ci siamo sentiti ct della Nazionale con la formazione giusta per affrontare i vari Brasile di turno. Ci siamo scontrati in maniera accesa, e meno innocua, quando eravamo tutti biologi, virologi o scienziati da Nobel al tempo del Covid. Ci siamo lasciati poi andare per affrontare ogni questione, ogni argomento in maniera faziosa.
L’ultimo è il caso dell’omicidio del 32enne attivista conservatore Charlie Kirk. Non hanno ancora le idee ben chiare neppure negli Stati Uniti, dove l’assassinio è avvenuto e dove ucciso e uccisore sono nati, cresciuti e vissuti. Ma le idee chiare, le hanno, invece, i commentatori nostrani. In particolare quelli di borgata, di quartiere, dei piccoli paesi. A destra, «sono stati i comunisti a ucciderlo», e a sinistra «hanno ucciso un fascista».
E questo, morto a parte, fa sorridere. Prima di tutto perché si ergono a espertoni quelli che, al massimo di estero, hanno conosciuto San Marino. Sì, sono quelli che sanno tutto degli Usa quando ci sono le elezioni, e magari in Italia neppure votano, e fanno finta di capire un meccanismo elettorale complicato e lontano dal nostro mondo mille miglia. Come l’oceano che ci separa. E parteggiano per l'uno o per l'altro candidato, confrontandolo con la nostra politica, la nostra cultura, il nostro pensiero. A iniziare dal fatto che destra e sinistra sono due termini prettamente italiani e poco americani. Le differenze tra democratici e repubblicani ci sono, certo, ma non sono così evidenti come le pensiamo noi.
Torniamo all’uccisione di Kirk, che non è il capitano di Star Trek, avvenuta per mano di Tyler Robinson, 22enne dello Utah, in circostanze che mescolano ideologia, cultura digitale e riferimenti videoludici. Perché quelle frasi scritte sulle pallottole, tipo 'Bella Ciao' e 'Hey fascista! Prendilo!', fanno pensare più a un videogioco che a un vero spirito rivoluzionario alla Che Guevara. E poi, diciamocelo, parlare di rivoluzione comunista negli Usa fa sorridere. Loro che sono nati sul genocidio degli indiani e che hanno dato vita al maccartismo, schiavizzato i neri.
Ma guardiamo ai fatti. Tyler ha lasciato quattro frasi incise su proiettili, tra cui appunti, meme e frasi ironiche come «Notices bulges OwO what’s this?» e «If you read this you are gay lmao». Ovvero cose che si capiscono solo se sei un ragazzino flashato di social network. È vero che ha scritto Bella Ciao, ma i riferimenti sembrano essere a videogiochi come Helldivers 2.
Se vediamo chi era Tyler, basta cercare in rete e leggere articoli, si scop€re che era cresciuto in una famiglia apparentemente felice e conservatrice, con padre pro-Trump. E anche lui stesso era trumpiano e parteggiava per il gruppo Maga. Aveva ottenuto una borsa di studio, ma abbandonato gli studi universitari e adesso studiava per diventare elettricista al Dixie Technical College. Vale la pena sottolineare che era appassionato di videogiochi e attivo su Discord. Alcuni parenti lo descrivono come “pieno d’odio” e politicamente orientato a sinistra, in contrasto con la sua famiglia. Dopo l’omicidio, ha cercato di coinvolgere il coinquilino per recuperare l’arma. Ha cambiato abiti per confondere le telecamere e ha tentato la fuga saltando da un tetto. Ma è stato riconosciuto dal padre nelle foto diffuse dall’Fbi e ha confessato, dicendo di preferire il suicidio alla resa.
Questa è la cronaca. E sembra davvero una vicenda prettamente americana, quella dell’uso indiscriminato delle armi, che Kirk caldeggiava tanto da accettare qualche morto innocente (leggasi stragi nelle scuole) pur di mantenere un privilegio da cow-boy. Quella di un mondo, per fortuna, lontano da noi. Una cultura dove le frasi incise e i riferimenti suggeriscono un profilo “terminally online”, immerso nella cultura digitale che poco ci appartiene. Ma che invece i nostri espertoni di destra e di sinistra sembrano volutamente voler ignorare.
Anche perché neppure negli Usa sono concordi. Le reazioni politiche sono infatti, divise, contrastanti. Il governatore accusa i social media e la destra punta il dito contro l’ideologia universitaria. Mentre la sinistra contro la cultura delle armi. Lo stesso Trump, che chiede la pena di morte per Tyler, parla di caso isolato.
In Italia sembra di essere tornati alla strategia della tensione quando gli italiani morivano, vittime innocenti con la politica che accusava la sinistra, il Pci, di essere la causa di tutti i mali. Tanto da giustificare la nascita di gruppi come Gladio, P2 e organismi paralleli in contrasto alla Br.
Il caso Kirk solleva, invece, interrogativi profondi su radicalizzazione, cultura giovanile e il ruolo della rete nella formazione ideologica. Internet non è solo uno strumento di comunicazione: è diventato un ecosistema dove si formano identità, si condividono ideologie e, purtroppo, si può anche scivolare verso l’estremismo.
I giovani sono alla ricerca di identità e appartenenza, ruolo che un tempo era appannaggio della politica e dei partiti.
I giovani attraversano fasi di vulnerabilità emotiva e sociale. Online trovano comunità che offrono risposte semplici a problemi complessi. Ci sono gruppi estremisti che sfruttano questa ricerca di senso per attrarre nuovi membri, offrendo un’identità forte e un nemico comune. Video su YouTube, meme, canzoni e contenuti virali vengono usati per diffondere ideologie radicali in modo accattivante. Anche eventi apparentemente innocui su Facebook o TikTok possono nascondere legami con movimenti estremisti.
Ecco come l’uso di meme, emoticon e riferimenti a videogiochi (come nel caso di Tyler Robinson) crea un linguaggio condiviso che rafforza il senso di gruppo. Un linguaggio che può rendere difficile per genitori e insegnanti riconoscere i segnali di allarme.
Quello che manca è il filtro. La rete consente l’accesso a contenuti estremi senza mediazione. E forum e chat private come Discord (quella di Tylor) permettono scambi ideologici lontani da occhi indiscreti.
Ma la rete può essere non soltanto un vettore di radicalizzazione, ma anche uno strumento di prevenzione. Dipende da come viene usata e da quanto siamo capaci di guidare i giovani nel navigarla con consapevolezza.