Pasolini di fronte alle spoglie di Gramsci riflette sulla sua vita e sulla società a lui contemporanea: “Vivo nel non volere / del tramontato dopoguerra: amando / il mondo che odio – nella sua miseria / sprezzante e perso – per un oscuro / scandalo /della coscienza… / Lo scandalo del contraddirmi, /dell’essere /con te e contro te; con te nel core, /in luce, contro te nelle buie viscere”.
Possente tensione ossimorica tra democratizzazione delle masse e l’incipiente neocapitalismo che tutto fagocita e consuma, masse comprese. Pasolini interprete protagonista di un mondo rurale ormai al tramonto, si immerge tout court in ciò che rimane di esso, in quel sottoproletariato urbano che rappresenta l’altro mondo, quello vero.
Il Nuovo Fascismo, nell’accezione pasoliniana, ha il volto mellifluo e ingannatore del consumismo, totalitario e totalizzante che silenziosamente ma inesorabilmente tutto omologa, tutto assorbe fino ad annichilire le stesse coscienze.
Ecco la necessità dello scandalo, dello strappo. «Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista», dichiara Pasolini nella sua ultima intervista nel 1975.
Da qui l’amore viscerale per i Ragazzi di vita, lo schierarsi contro la polizia nei fatti di Valle Giulia, contro l’aborto, contro i capelloni, la malinconica riflessione sulla scomparsa delle lucciole, Pasolini poeta e corsaro denuncia la mutazione antropologica della società.
V.
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